
Poeticamente Abitiamo è la collana di poesia e fotografia per l’architettura e la cittadinanza risultato della ricerca che le due autrici conducono tra partecipazione e didattica.
Ogni presentazione è un dialogo che coinvolge le autrici e il pubblico, con letture di alcuni testi poetici e che apre alla città riflessioni su rigenerazione urbana e l’abitare poetico/umano.
In questo articolo dal titolo Partecipazione allucinata della città – sensi e scrittura poetica come strumento di progetto, pubblicato nei Proceedings Oltre lo sguardo. Interpretare e comprendere la città, dell’XI congresso AISU, Associazione Italiana di Storia Urbana, le autrici Silvana Kuhtz e Silvia Parentini parlano del progetto.
L’abitare coinvolge l’essere umano su più livelli, compreso quello spirituale. Sono molti gli autori che hanno associato lo spazio dell’abitare alla felicità e alla dimensione interiore; è il caso di de Botton, Architettura e felicità (2006) o Bachelard, che in La poetica dello spazio (1957) parla di “spazi felici”, gli spazi amati che vogliamo proteggere, verso cui si sviluppa un senso di affezione, che diventano spazi di valori e bellezza.
La casa, secondo Coccia (2021), prima che un artefatto architettonico è un artefatto psichico, “una realtà puramente morale che costruiamo per accogliere in una forma di intimità la porzione di mondo – fatta di cose, persone, animali, piante, atmosfere, eventi, immagini e ricordi – che rendono possibile la nostra stessa felicità.” Questo coinvolgimento spirituale è la parte più intima dell’abitare, che può far parte integrante del progetto di architettura o del disegno urbano.
Il progetto che Silvana Kuhtz e Silvia Parentini portano avanti in collaborazione con l’Università della Basilicata è volto a intrecciare il linguaggio proprio dell’architetto con una riflessione multidisciplinare e multiattoriale che coglie la sfera più intima del senso dell’abitare la città.
La poesia, in particolare, è il canale preferenziale per l’immaginazione dello spazio, è capace di immaginare cose che non esistono, come il progetto. È una costruzione metaforica di ciò che ancora non c’è, è la potenza di un atto possibile.
Poesia per l’architettura è proposta, qui, come strumento di pre-visione e sperimentazione di un futuro di progetto (è il caso dell’esperienza condotta dal gruppo di ricerca a Genzano di Lucania). Ma è anche un’operazione che può essere d’aiuto all’interpretazione di spazi da noi già vissuti (come nelle esperienze di alcune periferie, come a Conversano (BA) e del TAM – Tower Art Museum (MT)).
Poesia è dunque uno strumento preventivo di progettazione partecipata e anche, sul lato della lettura performativa, strumento di progetto, di prova, costruisce, cioè, anche insieme ai cittadini, un plastico ad altezza naturale. Fatto di parole. Una poesia siffatta è un modo morbido per avvicinare da subito abitanti, curiosità e creatività, bellezza, luogo oggetto di rigenerazione, progetto, affezione, disaffezione. Un preventivo modo per ricreare anche altre possibilità e guardare alle potenzialità.
Le comunità locali possono creare e condividere storie, sentimenti e visioni, creando così opportunità di dialogo e scambio di conoscenze, nonché per lo sviluppo di nuove competenze e pratiche creative.
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